Un atrio o un’aula comune di una prigione infernale (o di un teatro) diventa tribunale.
Un Uomo attende il suo verdetto.
L’Altro è la vittima di un delitto che non sappiamo se essere già stato consumato o se
ancora deve avvenire.
Il pubblico è Giurìa involontaria di un processo.
Dall’alto, da dove sembra non esserci tetto, si posa l’occhio dell’Altissimo Giudice
Supremo.
I tre lottano per far prevalere la propria ragione, la propria concezione di giustizia umana e
dal basso si accusano, si scontrano, s’ingannano; il processo al presunto colpevole
sembra trasformarsi in un processo al Giudice e al suo nome… un’Ingiùria che attraversa
un passato storicamente incerto e un presente dal sapore antico.
Ma ancora più in basso, afflitta da un dolore maggiore, sta la Giurìa, con la sua istintiva
volontà di giudicare e uccidere alla stregua di un dio.
Nato dalle riflessioni sorte dalla lettura dell’opera di Josè Saramago, “Mea Culpa” è il secondo atto
di una trilogia che la compagnia Odemà ha iniziato con lo spettacolo “A Tua Immagine”, riflettendo
su temi di carattere apparentemente religioso, ma che sono in realtà un pretesto per indagare i
principi del potere e l’essere umano nelle sue contraddizioni.
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MARIO BIANCHI
Mea culpa. Quella sottile linea rossa fra Giurìa e Ingiùria
E’ raro che i giovani si interroghino sui grandi temi che hanno interessato per secoli i filosofi, e
soprattutto oggi, in tempi che necessariamente li spingono verso temi contingenti che navigano
principalmente intorno alle quotidianità.
Tuttavia il teatro ha proprio questa funzione: farci riflettere sull’essere uomini, interrogandoci
anche sul nostro rapporto con la divinità, sul concetto di libertà che ne deriva, sul far parte di un
creato a volte crudele, che ci lascia soli con noi stessi a porci domande, spesso senza
risposta.
Uno spettacolo dunque, come il precedente, che si fa stile utilizzando il paradosso caustico,
espresso con un testo interamente in versi che solo Caino cerca di scardinare, dai toni
fintamente leggeri e capace di mescolare i linguaggi del cabaret e della comicità.
Quarantacinque minuti di teatro densissimi di significato, dove la scrittura drammaturgica, ogni
volta capace di spiazzare lo spettatore non concedendogli certezza alcuna, è disseminata
all’interno di una scena composta da pochissimi elementi, dove i tre attori si muovono
coinvolgendosi a vicenda in un gioco solo apparentemente ironico, in realtà beffardamente
tragico.
… dove le vittime ovviamente siamo ancora noi, i tanti Caini che
popolano questa nostra povera terra.
recensione Mario Bianchi KLP
CLAUDIO ELLI
Un processo giocato con ironia
dialettica e studio del movimento, in sinergia con un repertorio musicale che valorizza
drammaturgicamente l’elemento grottesco del frangente. Le luci riescono in un gioco d’ombra a
enfatizzare il ruolo divinatorio del potere, il processo si nutre dell’effetto scenico per incutere il
timore di una guida che possa esercitare il proprio diritto inibitorio da un tetto virtuale sul
mondo. Uno spettacolo che esce dalla rappresentazione per identificare la tragedia sociale
dell’inganno, attraverso l’esercizio sistematico della frode finalizzata
all’ingiustizia. Il “dio bloccante” che decide sul pensiero e su ciò che è “bene” o “male”, in
parentela con quello già combattuto dall’artaudiano
Pour en finir avec le jugement de dieu
, assume qui tutti quegli aspetti, purtroppo estremamente attuali, atti al conseguimento di
un’operazione mediatica di raggiro. Questa è la vera Ingiuria del presente, e sul palco,
attraverso le modulazioni di un linguaggio, che spazia tra l’improvvisazione comica del cabaret
teatrale e lo studio sulla parola, la truffa è svelata.
RECENSIONE CLAUDIO ELLI PUNTO E LINEA
M. LONDO
Il gioco si fa sempre più carico di significati e significanti: deve esserci per forza un colpevole. Il dio che determina questa scelta, in realtà, si riflette sulla giuria che, puntualmente, cambia ogni sera – il pubblico – ma che agisce, inconsapevolmente, incarnando lo slancio dell’uomo vittima di se stesso e del proprio potere acquisito di giudice. Il colpevole è colui che scagiona l’uomo dal tormento e restituisce un senso a quel cercare. Un dio che diventa umano perché assorbe le fondamenta deboli dell’uomo e ne diventa espressione di quell’umano volere. Non è una critica religiosa ma una riflessione costante e attenta su quell’inesauribile ricerca dell’alleggerimento delle voci interiori.
Lo spettacolo scivola, attraverso i nostri occhi e udito, senza pesantezza, svelando ora momenti di pura poesia ora di leggerezza. Il linguaggio calibrato e talvolta grottesco, poi, la mimica, ne delineano gli aspetti.
L’uomo è la vittima; il motivo è quel qualcosa che ha compiuto o ancora deve compiere ma che, latente, oscilla nel suo animo, pronto a manifestarsi.
L’inganno. Il giudizio. La colpa.
RECENSIONE M.LONDO INTOTHESTAGE
Mea Culpa – Teatro della Contraddizione (Milano)
Scritto da Laura Timpanaro Mercoledì, 27 Gennaio 2016
Gli Odemà con “Mea Culpa” portano in scena un groviglio di emozioni affidandosi ad un vasto e colto repertorio letterario, teatrale e cinematografico per svelare con garbo ma senza pietà il buio in cui l’umanità è piombata. Ad accogliere la platea del Teatro della Contraddizione c’è uno strano personaggio: un dio-giudice in gonnella, piccoletto con un paio di scarpe rosse che contrastano con la veste candida e il volto dipinto di bianco. Questa figura grottesca, dopo aver letto qualche passo di una originale genesi conduce il pubblico in sala, dove si assiste ad un prologo narrato da voci registrate che percorrono con toni comico-grotteschi la storia di Caino e Abele.
Compagnia Odema’ presenta
MEA CULPA
ovvero della Giurìa e dell’Ingiùria
progetto drammaturgico di Enrico Ballardini
diretto e interpretato da Enrico Ballardini, Giulia D’Imperio e Davide Gorla
luci Monica Gorla
produzione compagnia Odemà in co-produzione con Kilowatt Festival
con il sostegno di Associazione culturale UddU, Teatro Garibaldi Aperto di Palermo e Com Teatro di Corsico
Ed ecco che pian piano i due fratelli più famosi della storia entrano nella pièce. Caino indossa un frak senza camicia e con scarpe rosse, sottolineato dalla canzone che Domenico Modugno scrisse per narrare il suicidio del Principe Raimondo Lanza di Trabia, un cappio che esalta la sua inadeguatezza nel mondo, il suo essere sbagliato e quindi colpevole. Diverso e complementare è Abele, emblema dell’uomo occidentale, biondo, curato, di bell’aspetto, ben vestito anche se in fondo ai pantaloni sbucano due decolté da donna rosso fuoco come a svelare che in fondo un po’ di colpa si cela anche da quelle parti. I tre si confrontano, si scontrano, pronunciano frasi in versi (la terzina dantesca).
Parlano del male e del bene, di come non possa esserci bene senza male, e come in virtù di ciò l’umanità ha sempre cercato un colpevole, un capro espiatorio. Il rapporto tra Caino e Abele è il momento in cui si manifesta in maniera più incisiva una virata al “vecchio” pregiudizio antropologico per cui Caino è il fratello brutto, sporco e cattivo e Abele quello buono e bello. In questa rappresentazione si leggono tanti riferimenti alle teorie razziste e classiste, alla presunta superiorità del mondo occidentale e industrializzato. Teorie tutt’altro che superate.
La drammaturgia è ispirata a scritti di Saramago (si legge nelle note di regia), tuttavia si colgono colte citazioni letterarie di diversa origine: da Dostoevskij (riflessione sul male) a Dante (concetto di colpa, peccato e rima baciata), musicali da Modugno (il vecchio Frak suicida) a De Andrè (di cui viene citata la Direzione ostinata e contraria) e cinematografiche (Indagine su un cittadino al di sopra di qualunque sospetto) e teatrali con una raffinata citazione del Teatro delle Ombre.
Il progetto drammaturgico di Enrico Ballardini, che firma anche la regia ed interpreta Caino, è corposo, colto, ambizioso, raffinato e mai banale. “Mea culpa” si nutre e nutre il pubblico della letteratura di cui abbiamo bisogno, quella lucida e impietosa che mostra il buio in cui l’umanità è piombata e così facendo può dare una mano a risalire la china. Spettacolo ad alto coinvolgimento emotivo, grazie all’empatia degli attori: Giulia D’Imperio, Enrico Ballardini e Davide Gorla che hanno mostrato i muscoli.
Regia rigorosa che in uno spazio essenziale (pochi oggetti in scena: una sedia, una corda, un bidone) compatta e dà vigore ad una drammaturgia a tratti frammentata ma potentissima.
Teatro della Contraddizione – via della Braida 6, 20122 Milano
Per informazioni e prenotazioni: telefono 02/5462155, mail info@teatrodellacontraddizione.it
Orario spettacolo: dal 14 al 17 gennaio, ore 20:45
Biglietti: 15 euro (intero), 12 euro (ridotto)
Durata: 1 ora e 15 minuti
Articolo di: Laura Timpanaro
Grazie a: Giulia Soleri, Ufficio stampa Teatro della Contraddizione
Sul web: www.teatrodellacontraddizione.it
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